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La divisa maledetta: storia della maglia bianca del Brasile “sparita” dopo il Maracanazo

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Da Copyright (c) 2022 Alizada Studios/Shutterstock

La storia della divisa “maledetta”, dal Maracanazo al concorso pubblico indetto per ridisegnarla Era tutto previsto, tranne il trionfo dell’Uruguay. Con queste parole Rimet, l’allora presidente FIFA e fondatore della coppa del Mondo, commentò l’esito del mondiale del 1950 vinto dalla celeste contro il Brasile. La seleção fu infatti sconfitta per 2-1 nell’ultima partita a Rio de Janeiro, nonostante un Maracanà gremito per l’occasione da 200.000 tifosi, il più grande numero di spettatori che abbia mai assistito a una partita di calcio – una cosa impensabile al giorno d’oggi.

Il clima in tutta la nazione era surreale. Basti pensare che nei giorni precedenti alla partita erano state vendute oltre 500.000 magliette con la scritta Brasil campeāo 1950 e i cartelloni fuori dallo stadio recitavano già omaggio ai campioni del mondo. L’alterigia dei brasiliani non si limitava ai tifosi, ma coinvolgeva anche la federcalcio che, ansiosa di festeggiare, fece preparare 11 limousine e consegnò ai giocatori 11 orologi d’oro, ognuno inciso con la scritta ai campioni del mondo. Insomma, Rio era pronta a godersi il carnevale sportivo più atteso di sempre.

Se i padroni di casa arrivarono quindi alla partita accompagnati dall’euforia di un popolo intero, la stessa cosa non si poteva dire per l’Uruguay che, nonostante avesse già vinto la coppa nell’edizione del 1930, approdava al mondiale da underdog. La stessa federazione uruguaiana, prima dell’incontro, disse ai calciatori di andare fieri di quanto fatto fino a quel momento. Aggiunse anche che un’eventuale sconfitta con meno di 4 gol sarebbe stata comunque dignitosa. Il discorso toccò nel profondo l’orgoglio di tutta la squadra, in particolare quello del capitano Obdulio Varela, che rispose con fermezza che dignitoso sarà solo se quella Coppa la vinceremo; ricordando così ai compagni che la partita si sarebbe giocata sul campo, non sugli spalti.

La finale si disputò il 16 luglio, il rumore del Maracanà era assordante. L’inizio della partita vide il Brasile in completo controllo della situazione, ma nonostante i ripetuti tentativi di segnare, il primo tempo terminò a reti inviolate. Il tanto atteso gol dei padroni di casa arrivò all’inizio del secondo tempo con Friaça, la cui rete fece esplodere di gioia i tifosi brasiliani, ormai a un passo dal coronare il loro sogno. Da quel momento in poi la partita cambiò: Varela, con grande astuzia, prese il pallone dal fondo della porta e camminò lentamente verso l’arbitro. Durante il tragitto del portiere, pur essendo il gol valido, i 200.000 del Maracanà rimasero in silenzio, preoccupati di un’eventuale irregolarità. La celeste non si scompose, trovando al 66’ il gol del pareggio con Schiaffino che, servito da Ghiggia, colse impreparato il portiere Barbosa. Il pareggio, data la formula del torneo, avrebbe incoronato i brasiliani, che continuarono però ad attaccare, non soddisfatti del risultato. Mancavano dieci minuti quando Ghiggia, già autore dell’assist del pareggio, riuscì nuovamente a battere Barbosa, che da quel giorno divenne il capro espiatorio della sconfitta.

Ecco il 2-1. Negli ultimi minuti i padroni di casa provarono a pareggiare, ma il triplice fischio dell’inglese Reader sancì la fine del sogno brasiliano. L’Uruguay è campione del mondo. Di quel giorno Ghiggia dirà solo a tre persone è bastato un gesto per zittire il Maracanà: Frank Sinatra, papa Giovanni Paolo II ed io – coincidenza macabra vuole che, l’autore del gol della vittoria, venisse a mancare il 16 Luglio 2015, esattamente 65 anni dopo il Maracanazo.

La confusione fu tale che, sugli spalti, decine di persone vennero colte da infarto. Alcuni spettatori arrivarono addirittura a gettarsi dalle tribune. In quella che sarebbe stata definita dai brasiliani stessi la nostra Hiroshima, in totale furono registrati in tutta la nazione 34 suicidi e 56 morti. Anche il difensore brasiliano Danilo, uno dei protagonisti, tentò di togliersi la vita. Il carnevale fu sostituito da 3 giorni di lutto nazionale e i giornali titolarono Mai più. Fu così che la federazione brasiliana, per superare la delusione, bandì un concorso sul giornale Correio da Manhã per cambiare i colori della divisa. Fino a quel momento, infatti, la seleção aveva sempre giocato indossando una divisa bianca. Le regole previste dal concorso erano due: la prima vietava l’uso del bianco, un po’ per scaramanzia, ma anche perché il bianco rappresentava per i brasiliani un vuoto psicologico e morale. La seconda, invece, imponeva l’utilizzo di tutti i colori presenti nella bandiera nazionale, a dimostrazione di come per i brasiliani la divisa fosse molto più che una semplice iconografia calcistica.

A vincere il concorso fu Aldyr Garcia Schlee, uno studente di architettura di 19 anni nato a Yaguarón, al confine con l’Uruguay – da sempre, paradossalmente, tifoso uruguaiano. Il risultato è quello che tutti conosciamo, una maglia gialla con bordi verdi e pantaloncini blu con banda bianca. La nuova divisa esordì nel 1954, ma divenne immortale quattro anni più tardi, quando Pelé trascinò il Brasile alla conquista del suo primo titolo mondiale in Svezia. La divisa bianca, da allora, fu utilizzata solamente in altre due occasioni: nel 2004 in un’amichevole contro la Francia per celebrare i 100 anni della FIFA e nel 2019, anno in cui si disputava la Copa America in Brasile. In quest’ultimo caso la federazione brasiliana, in collaborazione con Nike, decise di reintrodurre la divisa bianca per il centenario dalla prima vittoria della coppa – vinta tra l’altro per 1-0 proprio contro l’Uruguay. Nonostante i brutti ricordi evocati dalla maglia, i brasiliani nel 2019 vinsero la coppa, spezzando così la maledizione del Maracanazo.

E visto che la Juventus è tra le squadre più “brasiliane” della Serie A, con ben 3 calciatori della Seleçäo titolari (Alex Sandro, Danilo, Bremer), torniamo subito in patria per scoprire le quote della prossima giornata di Serie A.

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